il territorio
Del complesso monastico, ubicato nella contrada montana Ronconiate, distante circa 15 km da Rossano, rimangono significativi ruderi attestanti la magnificenza del chiostro. Venne fondato col sostegno dell’ammiraglio normanno Cristòdulo sullo scorcio dell’XI sec. da San Bartolomeo di Sìmeri (1050-1130). Invero, i normanni – per amicarsi le popolazioni locali e promuovere la fusione di elementi etnici diversi – presero a cuore la causa greco-bizantina, rinnovando loro numerosi monasteri o fondandone nuovi riccamente dotati e protetti in tutti i modi. Il monastero, dedicato originariamente a S. Maria Nuova Odigìtria dal quadro offerto in dono al fondatore dagli Imperatori d’Oriente, riproducente l’immagine della Madre di Dio, fu poi conosciuto col nome di Patìr o Patire o Patirìon, cioè Monastero del Padre, in onore del suo fondatore. Esso ben presto acquistò fama e notorietà, grazie al suo scriptorium da cui provengono centinaia di codici, molti dei quali tuttora custoditi nella Biblioteca Vaticana, in quel [...]
Del complesso monastico, ubicato nella contrada montana Ronconiate, distante circa 15 km da Rossano, rimangono significativi ruderi attestanti la magnificenza del chiostro. Venne fondato col sostegno dell’ammiraglio normanno Cristòdulo sullo scorcio dell’XI sec. da San Bartolomeo di Sìmeri (1050-1130). Invero, i normanni – per amicarsi le popolazioni locali e promuovere la fusione di elementi etnici diversi – presero a cuore la causa greco-bizantina, rinnovando loro numerosi monasteri o fondandone nuovi riccamente dotati e protetti in tutti i modi. Il monastero, dedicato originariamente a S. Maria Nuova Odigìtria dal quadro offerto in dono al fondatore dagli Imperatori d’Oriente, riproducente l’immagine della Madre di Dio, fu poi conosciuto col nome di Patìr o Patire o Patirìon, cioè Monastero del Padre, in onore del suo fondatore. Esso ben presto acquistò fama e notorietà, grazie al suo scriptorium da cui provengono centinaia di codici, molti dei quali tuttora custoditi nella Biblioteca Vaticana, in quella dell’Abbazia di Grottaferrata e nelle Biblioteche di tutto il mondo. Ben conservata la chiesa (m 27,20 x m 14,35 x m 15,84), a tre navate con pilastri cilindrici costituiti da conci di pietra che reggono archi leggermente acuti sovrastati da numerose finestre anch’esse ad arco acuto, con tre absidi proiettate a oriente, decorate esternamente e finemente ad archi. Tre cupolette molto ribassate, tali da non sporgere oltre il piano di copertura del tetto, sormontano poi i tre vani in cui è suddiviso il presbiterio. Sulla facciata esterna spicca un ingresso archiacuto, un oculo centrale e due monofore laterali in corrispondenza delle tre navate. Magnifico il tappeto musivo pavimentale interno, risalente al XII secolo, dovuto all’abate Biagio come ci informa un’iscrizione. Presenta, infatti, bellissimi mosaici riproducenti soggetti particolari (grifo alato, liocorno, pantera, cervo a testa bassa, centauro che suona il corno, centauro che scocca l’arco, ecc.); tutti di straordinaria policromia ottenuta facendo ricorso all’impiego di tessere marmoree attinte a rocce locali o a ciottoli di fiume dai colori e dalle tonalità particolari.
L'esigenza di costruire una nuova cattedrale si presentò allorquando Rossano sul finire del sec. XI diventò sede arcivescovile. I lavori di ristrutturazione dell’area presbiteriale della Cattedrale (1993-1995) hanno portato alla luce strutture murarie riguardanti almeno tre edifici sacri databili tra il VI e il XII secolo, inglobati l’uno nell’altro: il primo edificio, di minuscole dimensioni, si fa risalire al VI-VII secolo; il secondo edificio, a navata unica, sviluppato maggiormente in lunghezza e con abside più ampia, si data all’VIII-IX secolo, coinciderebbe forse con la prima cattedrale bizantina; il terzo edificio, risalente ai secoli XI-XII, interamente rifatto dalle fondamenta, a pianta basilicale con pavimento musivo simile a quello della Chiesa del Monastero del Patire riproducente cioè i motivi decorativi ricorrenti nel cosiddetto “bestiario normanno”, costituì il nucleo principale su cui poi nel tempo si sviluppò l’odierna Cattedrale, dedicata alla SS. Vergine Achiropita.
Nel corso degli ann [...]
L'esigenza di costruire una nuova cattedrale si presentò allorquando Rossano sul finire del sec. XI diventò sede arcivescovile. I lavori di ristrutturazione dell’area presbiteriale della Cattedrale (1993-1995) hanno portato alla luce strutture murarie riguardanti almeno tre edifici sacri databili tra il VI e il XII secolo, inglobati l’uno nell’altro: il primo edificio, di minuscole dimensioni, si fa risalire al VI-VII secolo; il secondo edificio, a navata unica, sviluppato maggiormente in lunghezza e con abside più ampia, si data all’VIII-IX secolo, coinciderebbe forse con la prima cattedrale bizantina; il terzo edificio, risalente ai secoli XI-XII, interamente rifatto dalle fondamenta, a pianta basilicale con pavimento musivo simile a quello della Chiesa del Monastero del Patire riproducente cioè i motivi decorativi ricorrenti nel cosiddetto “bestiario normanno”, costituì il nucleo principale su cui poi nel tempo si sviluppò l’odierna Cattedrale, dedicata alla SS. Vergine Achiropita. Nel corso degli anni essa subì trasformazioni radicali ad opera di vari arcivescovi. A tre navate (una quarta fu aggiunta nel XVII secolo per consentire la sistemazione di vari altari e cappelle), conserva al suo interno, oltre all’icona Achiropita, tantissime altre opere d’arte L'Icona dell'Achiropita è un affresco parietale della Madonna, che, per tradizione e significato della parola, vuol dire “fatta non da mano umana”. La sacra icona, la cui origine è da collocare tra il 580 e la prima metà del sec. VIII, è l’immagine della Madre di Dio (Theotòcos), che regge sul braccio sinistro il Messia Bambino, protegge e guida Rossano e i suoi abitanti. La venerata icona è una pittura di straordinaria bellezza, di intensa spiritualità, nella quale il sacro si fa arte, entro vibrazioni e suggestioni orientali e bizantine. E’ il cuore pulsante dell’antica città e della fede devozionale del popolo.
Appartiene alla tipologia degli oratori bizantini a cinque cupole, di cui in Calabria analogo esempio si rinviene nella Cattolica di Stilo (RC) e risale al IX-X sec. L'edificio consta di due porzioni distinte, la più antica mostra un piano quadrangolare (8 m x 8 m all'esterno e 6,75 m x 6,75 m all'interno) nel quale è inscritta una croce greca, cui in epoca successiva veniva aggiunto sulla facciata opposta a quella absidata un vestibolo per conferire più spazio alla chiesa, la quale assunse pianta rettangolare. L'interno è suddiviso da quattro massicci pilastri a pianta quadrata in nove piccoli quadrati. Sul tetto a spioventi sono sistemate 5 cupole cilindriche ( 4 laterali e una centrale) a calotta, ciascuna coronata da un giro di tegole e con monofore (finestrine). La facciata sud orientale termina con tre absidiole abbastanza pronunziate ( 70 cm circa) su ognuna delle quali s'apre una bifora (due finestrine gemelle). Orientata da levante a ponente - cioè volta con l'abside ad est - la chiesa all'interno era un tempo [...]
Appartiene alla tipologia degli oratori bizantini a cinque cupole, di cui in Calabria analogo esempio si rinviene nella Cattolica di Stilo (RC) e risale al IX-X sec. L'edificio consta di due porzioni distinte, la più antica mostra un piano quadrangolare (8 m x 8 m all'esterno e 6,75 m x 6,75 m all'interno) nel quale è inscritta una croce greca, cui in epoca successiva veniva aggiunto sulla facciata opposta a quella absidata un vestibolo per conferire più spazio alla chiesa, la quale assunse pianta rettangolare. L'interno è suddiviso da quattro massicci pilastri a pianta quadrata in nove piccoli quadrati. Sul tetto a spioventi sono sistemate 5 cupole cilindriche ( 4 laterali e una centrale) a calotta, ciascuna coronata da un giro di tegole e con monofore (finestrine). La facciata sud orientale termina con tre absidiole abbastanza pronunziate ( 70 cm circa) su ognuna delle quali s'apre una bifora (due finestrine gemelle). Orientata da levante a ponente - cioè volta con l'abside ad est - la chiesa all'interno era un tempo ricca di affreschi e pitture andati poi perduti. Rimane un'Odigìtria e i resti molto deteriorati di altri due affreschi: quello più antico ( fine X sec.) raffigurante un volto santo sul lato destro dell'absidiola di sinistra e l'altro raffigurante un monaco 'basiliano', probabilmente San Nilo o San Bartolomeo risalente al XIII secolo, posta sulla parete a settentrione.
La Torre dell'orologio di Piazza Steri, di fianco l'ottocentesco Palazzo De Rosis.
Venne costruita nel 1836 nel luogo dove, una volta, si ergeva la Chiesa della SS. Trinità che era stata edificata su disegno di un antico tempio dedicato ad Iside, dea egizia.
Danneggiata in maniera grave dal terremoto che colpì la Città nel 1836, venne ricostruita con la forma che attualmente conserva nel 1840.
Di proprietà comunale, ristrutturata intorno alla metà degli anni 90, presenta una struttura divisa in quattro sezioni da cornicioni aggettanti e nelle quali si aprono monofore, coronata alla cima da una cupoletta cuspidata.
E' aperta al pubblico tutti i giorni, gratuitamente, dal 01 Luglio al 30 Agosto dalle ore 10:30 alle ore 12:30 e dalle ore 18:00 alle 20:00 ed in occasione di feste e manifestazioni organizzate dall'Assessorato al Turismo, l'orario di apertura si protrarrà fino a tarda notte.
Al di fuori degli orari indicati è possibile prenotare la visita da parte di gruppi organizzati, telefonando all'Assessorato al t [...]
La Torre dell'orologio di Piazza Steri, di fianco l'ottocentesco Palazzo De Rosis. Venne costruita nel 1836 nel luogo dove, una volta, si ergeva la Chiesa della SS. Trinità che era stata edificata su disegno di un antico tempio dedicato ad Iside, dea egizia. Danneggiata in maniera grave dal terremoto che colpì la Città nel 1836, venne ricostruita con la forma che attualmente conserva nel 1840. Di proprietà comunale, ristrutturata intorno alla metà degli anni 90, presenta una struttura divisa in quattro sezioni da cornicioni aggettanti e nelle quali si aprono monofore, coronata alla cima da una cupoletta cuspidata. E' aperta al pubblico tutti i giorni, gratuitamente, dal 01 Luglio al 30 Agosto dalle ore 10:30 alle ore 12:30 e dalle ore 18:00 alle 20:00 ed in occasione di feste e manifestazioni organizzate dall'Assessorato al Turismo, l'orario di apertura si protrarrà fino a tarda notte. Al di fuori degli orari indicati è possibile prenotare la visita da parte di gruppi organizzati, telefonando all'Assessorato al turismo tel. 0983 529504.
La Torre normanna di avvistamento di S. Angelo, denominata semplicemente Torre S. Angelo, si trova nei pressi del lungomare di Rossano a soli 150 metri circa dal mare. E' un esemplare di architettura fortificata risalente al XVI secolo, edificato, probabilmente, nel 1543 utilizzando i resti dell'antico Arsenale di Thurio che sorgeva al suo posto.
La torre, che rientra nella tipologia di torri costiere che per tutto il 600 sorseero lungo il litorale ionico, aveva la duplice funzione di avvistamento e di protezione del territorio dalle incursioni nemiche. La struttura semplice ed essenziale è del tutto priva di qualsiasi forma decorativa, fatta eccezione per le numerose feritoie che si trovano lungo le pareti della struttura.
Caratteristica è la pianta stellare con quattro baastioni a punta di diamante.
Al centro della stella si erge un pozzo, che attraversando l'intera torre verticalmente, serviva da approvvigionamento idrico di tutti i piani.
Intorno alla metà dell'800 sorsero accanto alla Torre, numerosi edifici che [...]
La Torre normanna di avvistamento di S. Angelo, denominata semplicemente Torre S. Angelo, si trova nei pressi del lungomare di Rossano a soli 150 metri circa dal mare. E' un esemplare di architettura fortificata risalente al XVI secolo, edificato, probabilmente, nel 1543 utilizzando i resti dell'antico Arsenale di Thurio che sorgeva al suo posto. La torre, che rientra nella tipologia di torri costiere che per tutto il 600 sorseero lungo il litorale ionico, aveva la duplice funzione di avvistamento e di protezione del territorio dalle incursioni nemiche. La struttura semplice ed essenziale è del tutto priva di qualsiasi forma decorativa, fatta eccezione per le numerose feritoie che si trovano lungo le pareti della struttura. Caratteristica è la pianta stellare con quattro baastioni a punta di diamante. Al centro della stella si erge un pozzo, che attraversando l'intera torre verticalmente, serviva da approvvigionamento idrico di tutti i piani. Intorno alla metà dell'800 sorsero accanto alla Torre, numerosi edifici che servivano per lo stoccaggio dei prodotti destinati all'esportazione, per la vicinanza di un piccolo pontile al quale approdavano bastimenti di piccolo cabotaggio. La Torre, che dal 1980 è diventata di proprietà comunale, è stata sottoposta, negli anni novanta, a lavori di restauro per riportare alle origini la sua struttura,che, dopo essere stata per qualche tempo anche sede della Guardia di Finanza, versava in stato di abbandono. Gli interventi operati sulla Torre hanno avuto un duplice obiettivo: da un lato di recupero strutturale e dall'altro di recupero funzionale. Oggi, in fatti la Torre, specie durante il periodo estivo, ospita mostre d'arte, convegni ma anche rappresentazioni teatrali, di danza e musicali.
Risale al 1500 l’idea di commercializzare i rami sotterranei della liquirizia, una pianta che cresce in abbondanza nel latifondo della costa ionica calabrese.
Nel 1731, per valorizzare l’impiego di questo prodotto, la famiglia Amarelli dà vita ad un impianto proto-industriale per trasformare in succo le radici della pianta. Nascono così le liquirizie, nere, brillanti, gioia dei bambini ma anche di adulti che amano i piaceri di una vita sana e naturale. Dopo tre secoli la Amarelli, che fa parte dell’ associazione “Les Hénokiens” formata da 40 aziende familiari bicentenarie di tutto il mondo, produce ancora oggi liquirizia pura e gommosa, confetti, sassolini, cioccolatini e liquori sempre alla liquirizia. Per raccontare questa storia la famiglia ha aperto il Museo della Liquirizia “Giorgio Amarelli”, insignito del “Premio Guggenheim Impresa & Cultura” e celebrato dalle Poste Italiane con un francobollo della serie tematica “Il patrimonio artistico e culturale italiano”, emesso in 3.500.000 di esemplar [...]
Risale al 1500 l’idea di commercializzare i rami sotterranei della liquirizia, una pianta che cresce in abbondanza nel latifondo della costa ionica calabrese. Nel 1731, per valorizzare l’impiego di questo prodotto, la famiglia Amarelli dà vita ad un impianto proto-industriale per trasformare in succo le radici della pianta. Nascono così le liquirizie, nere, brillanti, gioia dei bambini ma anche di adulti che amano i piaceri di una vita sana e naturale. Dopo tre secoli la Amarelli, che fa parte dell’ associazione “Les Hénokiens” formata da 40 aziende familiari bicentenarie di tutto il mondo, produce ancora oggi liquirizia pura e gommosa, confetti, sassolini, cioccolatini e liquori sempre alla liquirizia. Per raccontare questa storia la famiglia ha aperto il Museo della Liquirizia “Giorgio Amarelli”, insignito del “Premio Guggenheim Impresa & Cultura” e celebrato dalle Poste Italiane con un francobollo della serie tematica “Il patrimonio artistico e culturale italiano”, emesso in 3.500.000 di esemplari. Tutti i giorni è possibile visitare il Museo e seguire il ciclo produttivo dalla radice alla liquirizia. Le visite, gratuite, sono guidate e vanno prenotate telefonando al numero 0983 511 219.
Costituito nel 1952, ha trovato nel 2003 definitiva sistemazione grazie all’arcivescovo Mons. Cassone (1992-2006). L’opera infaticabile di Mons. Luigi Renzo, direttore del Museo per lunghissimo tempo fino alla sua elezione a vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea (2007), ha fatto sì che le due primitive sale sono diventate dieci, dotandosi contemporaneamente di nuovi pezzi e di idonei supporti informatici e arricchendosi anche di una sezione dedicata a San Nilo.
Di assoluta novità sono le sette vetrine di paramenti sacri.
Di notevole interesse anche uno specchio greco del sec. V a.C., reperti archeologici databili al IV sec. e ceramica italiota rinvenuti nelle contrade Foresta e Petraro; una lastra marmorea con iscrizione latina del I sec. a.C.; un bassorilievo cristiano del sec. XV; una tavola a fondo oro con una Pietà di scuola veneta (sec. XV); una sfera greca, in perfetto gotico della fine del XV sec.; numerosa e varia suppellettile liturgica d’argento (croci astili, turiboli, calici, pissidi, reliquiari, bacoli ar [...]
Costituito nel 1952, ha trovato nel 2003 definitiva sistemazione grazie all’arcivescovo Mons. Cassone (1992-2006). L’opera infaticabile di Mons. Luigi Renzo, direttore del Museo per lunghissimo tempo fino alla sua elezione a vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea (2007), ha fatto sì che le due primitive sale sono diventate dieci, dotandosi contemporaneamente di nuovi pezzi e di idonei supporti informatici e arricchendosi anche di una sezione dedicata a San Nilo. Di assoluta novità sono le sette vetrine di paramenti sacri. Di notevole interesse anche uno specchio greco del sec. V a.C., reperti archeologici databili al IV sec. e ceramica italiota rinvenuti nelle contrade Foresta e Petraro; una lastra marmorea con iscrizione latina del I sec. a.C.; un bassorilievo cristiano del sec. XV; una tavola a fondo oro con una Pietà di scuola veneta (sec. XV); una sfera greca, in perfetto gotico della fine del XV sec.; numerosa e varia suppellettile liturgica d’argento (croci astili, turiboli, calici, pissidi, reliquiari, bacoli arcivescovili, ecc.); l’anello-sigillo detto di S. Nilo (sec. XIII); una statua e una statuetta dell’Achiropita in argento del sec. XVII, una collezione di monete antiche di epoca magno-greca e romana; ed ancora varie Carte e Pergamene, tra cui una Lettera di Carlo II d’Angiò all’arcivescovo di Rossano (1298), una Bolla di Papa Urbano VI (1386), quattro Bolle (1460, 1463, 1472) di Matteo Saraceno, primo arcivescovo di Rossano di rito latino, una Bolla di Ferdinando Re di Sicilia (1479), Statuti Capitolari (1502), capitoli manoscritti dei Privilegi della Regina Bona Sforza alla Città di Rossano (sec. XVI), ecc.; antifonari, vesperali e lezionari vari a partire dal XVI sec., di cui alcuni miniati; un grande stipo ligneo di sagrestia del sec. XVII; un altare ligneo dorato della Madonna del Perpetuo Soccorso del sec. XVII con colonne intarsiate; tele varie datate dal sec. XVI a salire, tra cui un S. Gerolamo, l’Ascensione, il ritratto di Urbano VII, S. Brunone; anforette ed altri reperti archeologici; stemmi arcivescovili in marmo; statue lignee dei secoli XVII-XIX (Assunta, S. Nilo, S. Francesco di Paola); un ciborio di ebano, ecc. Un quadro (olio su tela) commissionato dall’arcivescovo Camaldari (1762-1778) e fatto restaurare successivamente dall’arcivescovo Marsiglia (1931-1948), illustra in 12 pannelli, di cui 6 dipinti, la storia della Madonna Achiropita. Codex Purpureus Rossanensis Evangelario mutilo, di formato cm 26 x cm 30,7, contenente il Vangelo di Matteo e di Marco fino al versetto 14 dell’ultimo capitolo, nonché parte della lettera di Eusebio a Carpiano sulla concordanza dei Vangeli, scritto in greco su 188 fogli di pergamena di colore rossoporpora (donde il nome Purpureus), in caratteri onciali (maiuscola biblica) su due colonne di 20 righe, di cui le prime tre di colore oro e le restanti di colore argento, con 15 illustrazioni di grandissimo valore storico-artistico, nell’ordine: Resurrezione di Lazzaro (tav. I); Ingresso di Gesù in Gerusalemme (tav. II); Gesù scaccia i venditori dal Tempio (tav. III); Parabola delle 10 Vergini (tav. IV); Ultima Cena (tav. V); Comunione col Pane (tav. VI); Comunione col vino (tav. VII); Gesù nell’orto del Getsemani (tav. VIII); Canone dei Vangeli (tav. IX); Lettera di Eusebio a Carpiano (tav. X); Guarigione del cieco nato (tav. XI); Parabola del Buon Samaritano (tav. XII); Gesù davanti a Pilato (tav. XIII); Gesù e Barabba (XIV); S. Marco Evangelista (tav. XV). Risale al V-VI sec. e proviene quasi sicuramente da Antiochia di Siria (anche se di recente è stata avanzata l’ipotesi della sua fattura in Cesarea di Palestina). A portarlo a Rossano furono probabilmente monaci melkiti provenienti dall’Oriente che sfuggivano alle persecuzioni dei musulmani. E’ custodito nel locale Museo Diocesano d’Arte Sacra. Per consistenza e qualità, risulta essere il migliore di altri due codici purpurei greci: il Genesis, custodito nella Biblioteca Nazionale di Vienna e il Sinopense, conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi.
Nel cuore della Sila Greca ci si ritrova immersi in un bosco tra castagni giganti vecchi più di 700 anni, i Giganti di Cozzo del Pesco. Si tratta di 102 Castagni monumentali, talmente grossi che alcuni hanno una circonferenza alla base di circa 12 metri, alcuni dei quali con il tronco cavo entro cui possono trovar posto diverse persone. Tutti antichissimi, ce ne sono di ogni epoca: da quelli più vetusti e in minor numero che risalgono alla seconda metà del 1200, a una decina del 1300, ai più numerosi oscillanti fra il 1400 e il 1500, fino ai pochi ultimi esemplari che vanno dal 1600 in poi. Ma l’antichità non è l’unico primato di questo bosco, il quale nasconde un mistero ancora irrisolto e cioè quello di sfidare le leggi tradizionali della botanica che vogliono i castagni più grandi e vetusti crescere isolati rispetto al resto del castagneto. Qui, invece, veri e propri gruppi convivono da sette o ottocento anni con le loro circonferenze di 10 metri e oltre; una condizione di sopravvivenza che merita ulteriori st [...]
Nel cuore della Sila Greca ci si ritrova immersi in un bosco tra castagni giganti vecchi più di 700 anni, i Giganti di Cozzo del Pesco. Si tratta di 102 Castagni monumentali, talmente grossi che alcuni hanno una circonferenza alla base di circa 12 metri, alcuni dei quali con il tronco cavo entro cui possono trovar posto diverse persone. Tutti antichissimi, ce ne sono di ogni epoca: da quelli più vetusti e in minor numero che risalgono alla seconda metà del 1200, a una decina del 1300, ai più numerosi oscillanti fra il 1400 e il 1500, fino ai pochi ultimi esemplari che vanno dal 1600 in poi. Ma l’antichità non è l’unico primato di questo bosco, il quale nasconde un mistero ancora irrisolto e cioè quello di sfidare le leggi tradizionali della botanica che vogliono i castagni più grandi e vetusti crescere isolati rispetto al resto del castagneto. Qui, invece, veri e propri gruppi convivono da sette o ottocento anni con le loro circonferenze di 10 metri e oltre; una condizione di sopravvivenza che merita ulteriori studi. E' possibile organizzare escursioni attraverso sentieri e mulattiere fino all'Oasi dei Giganti di Cozzo del Pesco, ove si ammirano esemplari di castagno della circonferenza notevole, posti a dimora dai monaci basiliani contestualmente all'edificazione dell'Abbazia del Patire, intorno alla fine del secolo XI. Questo monumentale castagneto fu scoperto intorno alla metà degli anni ottanta dal WWF calabrese e dall'Orto Botanico dell'Università della Calabria. In esso, nel 1998, vi è stata istituita un'oasi naturalistica affidata al WWF. La fauna è ricca e variegata e i grandi alberi sono il rifugio per il gatto selvatico, la martora, la volpe, la faina, la donnola, la puzzola. Anche il cinghiale non disdegna di fare una capatina nell'oasi. Sono presenti rapaci diurni e notturni come come la poiana e il gheppio, il gufo, il barbagianni, l'allocco. Tra gli uccelli è possibile trovare il picchio, la ghiandaia, il merlo.
Il castello di Corigliano Calabro è una fortezza risalente all’XI secolo, sito a Corigliano Calabro, nel comune di Corigliano-Rossano, in provincia di Cosenza. È stato definito come uno "fra i castelli più belli e meglio conservati esistenti nell’Italia meridionale".
Il castello è un monumento nazionale dal 1927 ed è divenuto un museo storico artistico culturale. Il piano superiore del castello viene utilizzato per mostre pittoriche, fotografiche, convegni e altri eventi.
L’origine del castello di Corigliano Calabro è legata alla figura di Roberto il Guiscardo (Roberto d’Altavilla), il condottiero normanno d’aspetto gigantesco. Fu lui, secondo il suo biografo Goffredo Malaterra, a volere nel 1073 la costruzione di un fortilizio vicino Rossano, nell’ambito della linea di difesa realizzata in Valle Crati tra il 1064 e il 1080. Rossano era allora ancora fortemente permeata di religiosità e cultura bizantina e frequenti erano gli episodi di ribellione verso i nuovi conquistatori. La vicina Corigliano, pur e [...]
Il castello di Corigliano Calabro è una fortezza risalente all’XI secolo, sito a Corigliano Calabro, nel comune di Corigliano-Rossano, in provincia di Cosenza. È stato definito come uno "fra i castelli più belli e meglio conservati esistenti nell’Italia meridionale". Il castello è un monumento nazionale dal 1927 ed è divenuto un museo storico artistico culturale. Il piano superiore del castello viene utilizzato per mostre pittoriche, fotografiche, convegni e altri eventi. L’origine del castello di Corigliano Calabro è legata alla figura di Roberto il Guiscardo (Roberto d’Altavilla), il condottiero normanno d’aspetto gigantesco. Fu lui, secondo il suo biografo Goffredo Malaterra, a volere nel 1073 la costruzione di un fortilizio vicino Rossano, nell’ambito della linea di difesa realizzata in Valle Crati tra il 1064 e il 1080. Rossano era allora ancora fortemente permeata di religiosità e cultura bizantina e frequenti erano gli episodi di ribellione verso i nuovi conquistatori. La vicina Corigliano, pur essendo solo un piccolo borgo arroccato sulla collina detta "del Serratore", poteva subirne l’influenza e Roberto non voleva correre rischi. Da qui la decisione di costruire il castello che, secondo la tradizione normanna, aveva non tanto lo scopo di proteggere il territorio da pericoli esterni, quanto di far sentire alla comunità il peso del potere dominicale. Il primo signore del castello di Corigliano fu un vassallo del Guiscardo, Framundo, proveniente da L’Oudon in Francia, al quale seguirono suo fratello Rinaldo e poi suo nipote Guglielmo. Il presidio Castellare di Corigliano unitamente al presidio monastico castellare di San Mauro, sorti su monasteri, furono concessi dall’Imperatore Federico II di Svevia all’arcivescovo Cicala, in fidecommisso.